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La generazione della famiglia sconfiggerà il regime del Gender

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Filippo Savarese, Portavoce de La Manif Pour Tous Italia

Dimmi chi vuole una legge e ti dirò a cosa gli serve. Questo è il nodo da sciogliere per capire davvero di che cosa stiamo parlando quando si tratta di “unioni civili”, oggi che in Commissione Giustizia al Senato riprende l’esame dell’infausto ddl Cirinnà, bloccato prima dell’estate da un benemerito ostruzionismo che deve continuare incessante e incondizionato. Chi vuole le unioni civili? Chi si batte per la loro approvazione, mistificando spesso e volentieri la reale entità di questo provvedimento? La risposta è agli atti, depositata negli archivi del Senato. Basta aprire il fascicolo delle audizioni che la Commissione Giustizia ha svolto sul ddl Cirinnà, e constatare che hanno “testimoniato” a favore della legge esclusivamente le associazioni del club Lesbico-Gay-Bisessuale-Transessuale (Lgbt). Quella sulle unioni civili è una legge pretesa da una delle meno rappresentative categorie sindacali del Paese, e quindi non c’entra un bel niente né col bene comune né col progresso civile dell’Italia. Chiarito chi vuole la legge, il perché è una logica conseguenza: con le unioni civili si vuol distruggere il sistema che in Italia riconosce e promuove la famiglia, sulla base del fatto che – si dice – questo processo è già attuale “nella realtà”, cioè tramite le tecniche di filiazione spersonalizzata, in cui il figlio diventa un progetto di realizzazione individuale tra i tanti, che non ha più il minimo legame con richiami bigotti a una “mamma” e un “papà”, nella concretezza del loro essere esistenzialmente impastati col figlio, anima e carne, ma che riguarda avere libero accesso al mercato dei fattori riproduttivi: semi, ovuli e uteri in affitto (almeno finché non sarà pronto l’utero artificiale a cui l’industria biotecnologica sta già lavorando, pregustando il business arcimiliardario delle grandi coltivazioni di esseri umani). Giuseppina La Delfa, presidente delle sedicenti “Famiglie Arcobaleno” – il club dei pionieri in Italia di questo terrificante nuovo mondo huxleyano e principale referente della linea politica della relatrice Monica Cirinnà -, regala spesso inquietanti pillole di questa filosofia disumanizzata: a Papa Francesco che difendeva il diritto di ognuno di crescere con sua mamma e suo papà obiettava che possono essere genitori di un figlio anche 18 (diciotto) persone in contemporanea, mentre qualche giorno fa ha scritto testualmente su Twitter che “i figli non di concepiscono nella pancia ma nella testa” (che è poi la colossale sciocchezza propagandata negli asili dalle note favole Gender sui due papà e le due mamme, a proposito del falso e falsato scoop del “vai avanti” papale a chi attenta alla libertà educativa della famiglia).

Poiché c’è gente davvero convinta che i figli nascano dalla testa come nei miti greci, alcuni pensano che tanto basti a mettere lo Stato nella posizione di dover tutelare questa stramba credenza, ed è precisamente quello che si vuol fare incredibilmente con l’articolo 5 del ddl Cirinnà, sulla cosiddetta “stepchild-adoption” o “adozione interna”. Si tratta di un (pessimo) escamotage per indorare la velenosissima pillola dell’utero in affitto e farla bere al popolo italiano, già contrarissimo in percentuali prossime alla totalità alla truffa delle “due mamme” e dei “due papà”: la stepchild-adoption consentirebbe a un membro dell’unione civile di adottare il figlio dell’altro. Ora, poiché le unioni civili sono riservate solo a coppie di persone dello stesso sesso, e i figli avuti in precedenti relazioni eterosessuali continuano ad avere serenamente un papà e una mamma, da dove spunta questo figlio del partner? Risposta esatta, dal mercato dell’umano di cui sopra. Per parecchi mesi il dibattito parlamentare sulle unioni civili è proseguito senza centrare realmente il reale obiettivo del provvedimento, sperando che tanto bastasse ad arrivare agevolmente ad un’approvazione col silenziatore. Si è dato spazio ad infinite chiacchierate retoriche sui diritti e sulle libertà dell’individuo, dimenticando dolosamente che il diritto e la libertà del cittadino italiano di condividere la propria vita con chi vuole sono già riconosciuti e protetti dalle leggi dello Stato, e non per finta ma per davvero. L’aria è cambiata con l’imponente e pacifica manifestazione di popolo del 20 giugno scorso a Roma contro il totalitarismo dell’ideologia Gender, che trova una delle sue massime vittorie proprio nella consacrazione legislativa della cosiddetta omogenitorialità. Avendo il popolo elettore chiarito da che parte sta, il Parlamento e il Governo hanno dovuto iniziare a farci i conti, ed è così che il ddl Cirinnà ha iniziato la fase discendente della sua parabola.

Da che punto della discesa si ricomincia oggi in Commissione Giustizia? L’unica cosa certa è che, nonostante le provocazioni, sul ddl attuale non esiste in Parlamento una maggioranza, almeno non mediaticamente spendibile per il Presidente del Consiglio. Renzi non potrebbe mai convincere l’elettorato moderato, la sua fortuna elettorale, della bontà di aver approvato la rottamazione del matrimonio e la tutela dell’utero in affitto grazie ai voti di Vendola e di Grillo. La quadra eventuale potrebbe essere trovata solo al tavolo con il Nuovo Centrodestra, e quindi è in quel partito che gli animi devono restare saldissimi e fedeli all’ispirazione politica sulla base della quale si sono chiesti e ricevuti i voti dei cittadini alle scorse elezioni. Il Nuovo Centrodestra non ha mai inserito nel suo programma politico alcun intervento, di nessun tipo e con nessuna sfumatura, sul tema delle unioni civili. Per questo moltissimi sono rimasti stupiti da alcune dichiarazioni, come quella dell’ex-Ministro Lupi, che auspicano di “trovare un’intesa su questo istituto”. L’ostruzionismo in Commissione di senatori come Giovanardi e Malan ha permesso di far emergere con chiarezza che sull’utero in affitto e sul mercato dei figli non ci può essere nemmeno l’ombra di un confronto parlamentare. Ciò ha aumentato il margine di movimento della componente più moderata del Partito Democratico, che ha iniziato a lavorare per rimodulare il ddl Cirinnà in maniera apparentemente meno ideologica, offrendo presunte soluzioni come quella di definire le unioni civili un “istituto giuridico originario” (formula costituzionalmente oscura) o di declassare la stepchild-adoption a forma inedita di affido temporaneo rinnovabile (è la proposta del Senatore Lepri). Non è chiaro che cosa uscirà da questa fase informe di riassetto degli equilibri politici sulle unioni civili, a parte forse la caduta in disgrazia di Monica Cirinnà presso i favori delle corti Lgbt che fino ad oggi l’hanno tenuta in palmo di mano (già volano le accuse di alto tradimento). Non si può dire nemmeno se il perseverante ostruzionismo farà affogare le unioni civili tra le alte onde delle riforme costituzionali e della legge di stabilità o se il ddl sarà portato in Aula senza relatore, evitando i 1200 emendamenti pendenti ma gettando l’intera operazione nell’incertezza più totale.

Ad ogni modo, adesso che anche L’Espresso titola sulla “trattativa sull’utero in affitto”, chiamando le cose col loro nome, bisogna mettere in luce il punto focale ulteriore della questione, e cioè che se veramente si ha in disprezzo il mercato dei figli verso cui tutte le richieste delle associazioni Lgbt sono indirizzate, allora quel che non si può introdurre nell’ordinamento è in definitiva il riconoscimento pubblicistico dell’unione tra persone dello stesso sesso in sé. Per un motivo banale: la Corte Europea dei Diritti Umani ha già detto che se si riconosce giuridicamente l’unione tra persone dello stesso sesso in sé, e non ci si limita, come si ha tutto il diritto di fare, a riconoscere il diritto individuale di convivere con chi si vuole, bisogna poi allineare la disciplina sostanziale delle unioni civili a quella del matrimonio, e se non lo fanno i Parlamenti devono farlo i Tribunali. A quel punto i nodi di qualsiasi ipocrita compromesso politico verrebbero tutti al pettine, e non avremmo fatto altro che aggiungere un passaggio formale in più allo svolgersi di un processo di cui volevamo impedire ogni esito. È ovvio infatti che i Tribunali e le Corti approfitterebbero del minimo collegamento tra le unioni civili e il diritto di famiglia per manipolare del tutto la normativa, fino ad abrogare ogni divieto immaginabile di adozione o procreazione assistita per le coppie di persone dello stesso sesso. Non è una profezia apocalittica, è quel che accade oggi nei Paesi in cui questo processo disumanizzante ha già fatto passi da gigante. Per questo risultano particolarmente illuminate le avvertenze del Senatore Sacconi, rivolte a chi, anche nel suo partito, sembra essere tentato da una sorta di opportunista lassismo intellettuale: “il punto nodale è l’“uomo nuovo” che si vuole produrre, generato separatamente dagli elementi riproduttivi di una coppia naturale, cresciuto senza diversità genitoriale, educato alla mutevolezza del genere”. Questo fine può essere ricacciato nelle tenebre ideologiche da cui fuoriesce solo lasciando intatto il diritto di famiglia, rinunciando del creare pericolosi istituti paramatrimoniali nei fatti, al di là delle intenzioni.

Chesterton diceva che dobbiamo aprire la mente proprio come siamo soliti aprire la bocca, e cioè per richiuderla su qualcosa di solido. La solida consapevolezza su cui richiudiamo la mente dopo averla senz’altro aperta per vedere che aria tira nel mondo è questa: la famiglia, quella che sola può assicurare al nascituro la verità oltre l’amore, è la cellula elementare dell’umanità. Il comparto giuridico che la riconosce e protegge è un ecosistema delicatissimo, nel quale sono implicati i più essenziali dei diritti umani, quelli che riguardano la vita nascente e la sua protezione nel periodo di maggior vulnerabilità. Quale che sia la dose di virus letale che si inietta nel sistema non fa alcuna differenza, perché una volta in circolo è solo una questione di tempo. Se nelle prossime settimane il Parlamento non darà segni concreti di aver inteso questo pericolo mortale, il popolo italiano stupirà molti molto più di quanto abbia meravigliato la marea del 20 giugno convocata in due settimane. Tutti facciano bene i loro conti, perché la generazione della famiglia è appena nata, e la storia siamo noi.

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