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La generazione della famiglia sconfiggerà il regime del Gender

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Filippo Savarese, Portavoce de La Manif Pour Tous Italia

Dimmi chi vuole una legge e ti dirò a cosa gli serve. Questo è il nodo da sciogliere per capire davvero di che cosa stiamo parlando quando si tratta di “unioni civili”, oggi che in Commissione Giustizia al Senato riprende l’esame dell’infausto ddl Cirinnà, bloccato prima dell’estate da un benemerito ostruzionismo che deve continuare incessante e incondizionato. Chi vuole le unioni civili? Chi si batte per la loro approvazione, mistificando spesso e volentieri la reale entità di questo provvedimento? La risposta è agli atti, depositata negli archivi del Senato. Basta aprire il fascicolo delle audizioni che la Commissione Giustizia ha svolto sul ddl Cirinnà, e constatare che hanno “testimoniato” a favore della legge esclusivamente le associazioni del club Lesbico-Gay-Bisessuale-Transessuale (Lgbt). Quella sulle unioni civili è una legge pretesa da una delle meno rappresentative categorie sindacali del Paese, e quindi non c’entra un bel niente né col bene comune né col progresso civile dell’Italia. Chiarito chi vuole la legge, il perché è una logica conseguenza: con le unioni civili si vuol distruggere il sistema che in Italia riconosce e promuove la famiglia, sulla base del fatto che – si dice – questo processo è già attuale “nella realtà”, cioè tramite le tecniche di filiazione spersonalizzata, in cui il figlio diventa un progetto di realizzazione individuale tra i tanti, che non ha più il minimo legame con richiami bigotti a una “mamma” e un “papà”, nella concretezza del loro essere esistenzialmente impastati col figlio, anima e carne, ma che riguarda avere libero accesso al mercato dei fattori riproduttivi: semi, ovuli e uteri in affitto (almeno finché non sarà pronto l’utero artificiale a cui l’industria biotecnologica sta già lavorando, pregustando il business arcimiliardario delle grandi coltivazioni di esseri umani). Giuseppina La Delfa, presidente delle sedicenti “Famiglie Arcobaleno” – il club dei pionieri in Italia di questo terrificante nuovo mondo huxleyano e principale referente della linea politica della relatrice Monica Cirinnà -, regala spesso inquietanti pillole di questa filosofia disumanizzata: a Papa Francesco che difendeva il diritto di ognuno di crescere con sua mamma e suo papà obiettava che possono essere genitori di un figlio anche 18 (diciotto) persone in contemporanea, mentre qualche giorno fa ha scritto testualmente su Twitter che “i figli non di concepiscono nella pancia ma nella testa” (che è poi la colossale sciocchezza propagandata negli asili dalle note favole Gender sui due papà e le due mamme, a proposito del falso e falsato scoop del “vai avanti” papale a chi attenta alla libertà educativa della famiglia).

Poiché c’è gente davvero convinta che i figli nascano dalla testa come nei miti greci, alcuni pensano che tanto basti a mettere lo Stato nella posizione di dover tutelare questa stramba credenza, ed è precisamente quello che si vuol fare incredibilmente con l’articolo 5 del ddl Cirinnà, sulla cosiddetta “stepchild-adoption” o “adozione interna”. Si tratta di un (pessimo) escamotage per indorare la velenosissima pillola dell’utero in affitto e farla bere al popolo italiano, già contrarissimo in percentuali prossime alla totalità alla truffa delle “due mamme” e dei “due papà”: la stepchild-adoption consentirebbe a un membro dell’unione civile di adottare il figlio dell’altro. Ora, poiché le unioni civili sono riservate solo a coppie di persone dello stesso sesso, e i figli avuti in precedenti relazioni eterosessuali continuano ad avere serenamente un papà e una mamma, da dove spunta questo figlio del partner? Risposta esatta, dal mercato dell’umano di cui sopra. Per parecchi mesi il dibattito parlamentare sulle unioni civili è proseguito senza centrare realmente il reale obiettivo del provvedimento, sperando che tanto bastasse ad arrivare agevolmente ad un’approvazione col silenziatore. Si è dato spazio ad infinite chiacchierate retoriche sui diritti e sulle libertà dell’individuo, dimenticando dolosamente che il diritto e la libertà del cittadino italiano di condividere la propria vita con chi vuole sono già riconosciuti e protetti dalle leggi dello Stato, e non per finta ma per davvero. L’aria è cambiata con l’imponente e pacifica manifestazione di popolo del 20 giugno scorso a Roma contro il totalitarismo dell’ideologia Gender, che trova una delle sue massime vittorie proprio nella consacrazione legislativa della cosiddetta omogenitorialità. Avendo il popolo elettore chiarito da che parte sta, il Parlamento e il Governo hanno dovuto iniziare a farci i conti, ed è così che il ddl Cirinnà ha iniziato la fase discendente della sua parabola.

Da che punto della discesa si ricomincia oggi in Commissione Giustizia? L’unica cosa certa è che, nonostante le provocazioni, sul ddl attuale non esiste in Parlamento una maggioranza, almeno non mediaticamente spendibile per il Presidente del Consiglio. Renzi non potrebbe mai convincere l’elettorato moderato, la sua fortuna elettorale, della bontà di aver approvato la rottamazione del matrimonio e la tutela dell’utero in affitto grazie ai voti di Vendola e di Grillo. La quadra eventuale potrebbe essere trovata solo al tavolo con il Nuovo Centrodestra, e quindi è in quel partito che gli animi devono restare saldissimi e fedeli all’ispirazione politica sulla base della quale si sono chiesti e ricevuti i voti dei cittadini alle scorse elezioni. Il Nuovo Centrodestra non ha mai inserito nel suo programma politico alcun intervento, di nessun tipo e con nessuna sfumatura, sul tema delle unioni civili. Per questo moltissimi sono rimasti stupiti da alcune dichiarazioni, come quella dell’ex-Ministro Lupi, che auspicano di “trovare un’intesa su questo istituto”. L’ostruzionismo in Commissione di senatori come Giovanardi e Malan ha permesso di far emergere con chiarezza che sull’utero in affitto e sul mercato dei figli non ci può essere nemmeno l’ombra di un confronto parlamentare. Ciò ha aumentato il margine di movimento della componente più moderata del Partito Democratico, che ha iniziato a lavorare per rimodulare il ddl Cirinnà in maniera apparentemente meno ideologica, offrendo presunte soluzioni come quella di definire le unioni civili un “istituto giuridico originario” (formula costituzionalmente oscura) o di declassare la stepchild-adoption a forma inedita di affido temporaneo rinnovabile (è la proposta del Senatore Lepri). Non è chiaro che cosa uscirà da questa fase informe di riassetto degli equilibri politici sulle unioni civili, a parte forse la caduta in disgrazia di Monica Cirinnà presso i favori delle corti Lgbt che fino ad oggi l’hanno tenuta in palmo di mano (già volano le accuse di alto tradimento). Non si può dire nemmeno se il perseverante ostruzionismo farà affogare le unioni civili tra le alte onde delle riforme costituzionali e della legge di stabilità o se il ddl sarà portato in Aula senza relatore, evitando i 1200 emendamenti pendenti ma gettando l’intera operazione nell’incertezza più totale.

Ad ogni modo, adesso che anche L’Espresso titola sulla “trattativa sull’utero in affitto”, chiamando le cose col loro nome, bisogna mettere in luce il punto focale ulteriore della questione, e cioè che se veramente si ha in disprezzo il mercato dei figli verso cui tutte le richieste delle associazioni Lgbt sono indirizzate, allora quel che non si può introdurre nell’ordinamento è in definitiva il riconoscimento pubblicistico dell’unione tra persone dello stesso sesso in sé. Per un motivo banale: la Corte Europea dei Diritti Umani ha già detto che se si riconosce giuridicamente l’unione tra persone dello stesso sesso in sé, e non ci si limita, come si ha tutto il diritto di fare, a riconoscere il diritto individuale di convivere con chi si vuole, bisogna poi allineare la disciplina sostanziale delle unioni civili a quella del matrimonio, e se non lo fanno i Parlamenti devono farlo i Tribunali. A quel punto i nodi di qualsiasi ipocrita compromesso politico verrebbero tutti al pettine, e non avremmo fatto altro che aggiungere un passaggio formale in più allo svolgersi di un processo di cui volevamo impedire ogni esito. È ovvio infatti che i Tribunali e le Corti approfitterebbero del minimo collegamento tra le unioni civili e il diritto di famiglia per manipolare del tutto la normativa, fino ad abrogare ogni divieto immaginabile di adozione o procreazione assistita per le coppie di persone dello stesso sesso. Non è una profezia apocalittica, è quel che accade oggi nei Paesi in cui questo processo disumanizzante ha già fatto passi da gigante. Per questo risultano particolarmente illuminate le avvertenze del Senatore Sacconi, rivolte a chi, anche nel suo partito, sembra essere tentato da una sorta di opportunista lassismo intellettuale: “il punto nodale è l’“uomo nuovo” che si vuole produrre, generato separatamente dagli elementi riproduttivi di una coppia naturale, cresciuto senza diversità genitoriale, educato alla mutevolezza del genere”. Questo fine può essere ricacciato nelle tenebre ideologiche da cui fuoriesce solo lasciando intatto il diritto di famiglia, rinunciando del creare pericolosi istituti paramatrimoniali nei fatti, al di là delle intenzioni.

Chesterton diceva che dobbiamo aprire la mente proprio come siamo soliti aprire la bocca, e cioè per richiuderla su qualcosa di solido. La solida consapevolezza su cui richiudiamo la mente dopo averla senz’altro aperta per vedere che aria tira nel mondo è questa: la famiglia, quella che sola può assicurare al nascituro la verità oltre l’amore, è la cellula elementare dell’umanità. Il comparto giuridico che la riconosce e protegge è un ecosistema delicatissimo, nel quale sono implicati i più essenziali dei diritti umani, quelli che riguardano la vita nascente e la sua protezione nel periodo di maggior vulnerabilità. Quale che sia la dose di virus letale che si inietta nel sistema non fa alcuna differenza, perché una volta in circolo è solo una questione di tempo. Se nelle prossime settimane il Parlamento non darà segni concreti di aver inteso questo pericolo mortale, il popolo italiano stupirà molti molto più di quanto abbia meravigliato la marea del 20 giugno convocata in due settimane. Tutti facciano bene i loro conti, perché la generazione della famiglia è appena nata, e la storia siamo noi.

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“TRASCRIZIONI GAY”: IL TAR DEL VENETO SMASCHERA LA FARSA

Tra la fine dell’anno scorso e l’inizio del corrente il tormentone mediatico imponeva che fossimo appunto tormentati dalla questione della trascrizione di ‘matrimoni’ contratti all’estero tra persone dello stesso sesso nei registri comunali dello stato civile (questione diversa dall’approvazione di cosiddetti “registri comunali delle unioni civili”). Si trattò chiaramente di una ventata di quasi goliardica demagogia politica, a cui offrirono le vele le amministrazioni più ideologiche come quelle di Marino a Roma, Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli e Merola a Bologna (nessuna delle quali oggi se la passa troppo bene, per la serie “eufemismi”). Si attaccarono al tram una serie di altre città minori, avendo intuito che il momento mediatico poteva assicurare qualche prima pagina magari anche nazionale.

Il piano era chiaro: bombardare mediaticamente l’Italia con una raffica di trascrizioni di nozze gay – corredate dalla solita mitragliata di affermazioni sui diritti umani, il progresso, l’uguaglianza, la cività, etc – per forzare lo stato amministrativo delle cose e rendere indifferente, quindi più accettabile, l’approvazione di una legge nazionale che rimettesse in ordine il caos volutamente creato. Ovviamente quella legge necessaria era – e sarebbe – il ddl Cirinnà sulle cosiddette “unioni civili”, vera e propria bomba a mano nell’ordinamento giuridico, che fa saltare in aria l’intero sistema di riconoscimento costituzionale della famiglia tramite il matrimonio (che il ddl ricalca snaturandolo) e di protezione dei figli, specialmente nel loro diritto umano di non essere oggetto di compravendita tramite eterologa o utero in affitto (pratiche i cui effetti il ddl Cirinnà intende invece epsressamente riconoscere) e di essere invece semplicemente figli della loro mamma e del loro papà.

Sul fronte del ddl Cirinnà sappiamo com’è andata e come va. Il ddl che doveva essere approvato entro settembre 2014, poi entro primavera 2015, infine entro la prossima settimana, è stato rimandato a “entro l’anno”. Per ora, 1500 emendamenti e un po’ di sano ostruzionismo lo tengono inchiodato in Commissione Giustizia, tanto che cresce la tentazione nel duo Cirinnà-Lo Giudice di mandare al diavolo la Commissione e passare direttamente in Aula senza relatore, scelta che spacchetterebbe tutto il lavoro fatto finora rimettendolo daccapo nelle mani di tutti i Senatori, allungando i tempi di moltissimo ma con la speranza di trovare sponde più sicure nel M5S e in altre varie frange. Vedremo.

Tornando alle trascrizioni. Giuridicamente – cioè applicando il principio di legalità – la questione non ha bisogno di chiarimenti. La Corte di Cassazione ha già stabilito da anni che le trascrizioni di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso sono illegittime, poiché l’ordinamento italiano non riconosce a questi atti alcun effetto pratico. Vladimiro Zagrebelsky, già giudice alla Corte Europea dei Diritti Umani, criticò duramente su La Stampa il “ribellismo dei Sindaci“, arrivando a definirlo “frutto e sintomo, oltre che causa, di un disfacimento delle istituzioni fondamentali della Repubblica, che non dovrebbe essere apprezzato nemmeno da coloro che, nel merito, condividano il segno politico che le illegali registrazioni esprimono“.

Tra i protagonisti di questo “disfacimento istituzionale” figura anche il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo del Partito Democratico, avvocato cattolico cresciuto in ambiente scoutistico. Nell’ottobre scorso fu infatti entusiasta di accogliere con altisonanti apprezzamenti e richiami alla solita minestra falso-progressista la richiesta di trascrivere un matrimonio contratto in Brasile da parte del trevigiano Franco Fighera e del compagno Joe Fernandes. Il Sindaco fu spalleggiato fino all’effettiva trascrizione (gennaio), dall’assessore alle Pari Opportunità di SEL Anna Caterina Cabino, certissima che “è più che legittima la richiesta di trascrizione di un matrimonio da parte di una coppia gay“. Come no.

Nel mentre il Ministero dell’Interno aveva però emanato la nota “circolare di Alfano“, che richiamando la normativa vigente incaricava i Prefetti di annullare tutte le trascrizioni avvenute nelle zone di loro competenza. Fu così che, a febbraio, anche il Prefetto di Treviso mandò il proprio commissario a operare l’annullamento. Ne scaturì anche qui come altrove, ad esempio a Roma, un contenzioso tra ricorrenti e Prefettura presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Nel caso di Roma il TAR del Lazio annullò l’annullamento del Prefetto, ma solo perché, a detta di quei giudici, l’annullamento spettava per legge solamente al Tribunale Civile, per iniziativa del Pubblico Ministero. Nella sentenza con cui non riconosceva legittimità all’incarico conferito ai Prefetti dal Ministro Alfano, il TAR aggiungeva comunque che “nel decidere tali controversie, il giudice amministrativo ha eseguito una ricognizione della normativa comunitaria e nazionale della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, giungendo ad affermare che l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili“.

Ieri si è espresso invece il TAR del Veneto sul ricorso presentato contro l’annullamento delle trascrizioni da parte della Prefettura di Treviso, giundendo a conclusioni diverse da quelle del TAR del Lazio (sempre però sulla questione di competenza, non sul fatto che, comunque, le trascrizioni sono illegittime). I giudici amministrativi affermano che “il Sindaco, in qualità di esecutore della legge nazionale, e non anche di rappresentante della comunità locale, è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno, istruzioni della cui corretta esecuzione è specificamente incaricato il Prefetto, in quanto titolare del relativo potere di vigilanza“.

Ma al TAR del Veneto va un merito ulteriore a quello di aver applicato la legge, e cioè quello di aver ufficialmente riconosciuto e denunciato le ragioni di demagogia politica dell’intera operazione. Si legge nella sentenza che la trascrizione “è stata effettuata al solo fine di introdurre surrettiziamente una tipologia di matrimonio allo stato non prevista dalla legge e che potrebbe peraltro ingenerare un falso affidamento nei confronti degli stessi ricorrenti, non potendo costoro beneficiare, stante l’inefficacia di tale atto per lo Stato italiano, di nessuno dei vantaggi che la legge riconosce invece al matrimonio celebrato tra persone di sesso diverso“.

Salviamo il Diritto dai paladini dei “diritti“.

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Filippo Savarese

MANIF

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APPELLO AI DEPUTATI IN VISTA DELL’APPROVAZIONE DEL DDL “LA BUONA SCUOLA”

Le scriventi associazioni esprimono la loro forte preoccupazione per il fatto che nel disegno di legge sulla “buona scuola” sia stato inserito “un approccio di genere nella pratica educativa e didattica” e “l’approfondimento dei temi legati all’identità di genere”, ai fini del contrasto della violenza contro le donne, finalità che può essere efficacemente perseguita senza introdurre surrettiziamente l’ideologia del genere (gender).

Come cittadini, educatori, genitori e nonni, sentiamo il dovere civico di lanciare l’allarme sulle conseguenze devastanti che avrebbe un tale inserimento per il nostro sistema scolastico e per il nostro stesso ordinamento giuridico. Infatti, per identità di genere, non si intende l’indentità sessuale, essere maschio o femmina, legata al dato biologico, ma la percezione soggettiva, di appartenere ad un dato genere, a prescindere dal sesso biologico. Neppure possiamo ignorare quanto riportato dai manuali di educazione di genere che la definiscono “un tipo di educazione che sia in grado di decostruire i modelli dominanti, e che sappia ripensare i generi quali costruzioni sociali…”, individuando come obiettivo quello di ”…demistificare la rigida dicotomia con cui si è soliti pensare alla dimensione del genere…”. A fronte dell’evidente pericolo di indottrinamento ideologico portatore del pensiero unico dell’indifferentismo sessuale, rivolgiamo agli onorevoli Deputati il seguente appello. Non permettete che i grandi e importanti temi della riforma della scuola vengano strumentalizzati dalla surrettizia introduzione dell’educazione di genere.

Ponete come condizione per l’approvazione del maxiemendamento, l’eliminazione dei riferimenti al DL 93/2013 e alla legge 119/2013 dal comma 16.

Sono riferimenti assolutamente inutili ai fini della riforma della scuola. La loro eliminazione non la danneggerebbe e non nuocerebbe alle doverose azioni di contrasto della violenza e delle discriminazioni, giustamente previste dal comma 16 del DDL e dalla Convenzione di Istambul. Semplicemente ne impedirebbe quella vergognosa strumentalizzazione che la piazza ha denunciato.

Quel milione di cittadini, in Piazza San Giovanni, insieme a tanti cittadini non fisicamente presenti, ora vi chiedono di essere ascoltati, per il bene della famiglia, per il bene della scuola, per il bene dell’Italia!

 

  

LA MANIF POUR TOUS ITALIA, ASSOCIAZIONE VOGLIO LA MAMMA,

COMITATO FAMIGLIA EDUCAZIONE LIBERTA’, ASSOCIAZIONE NONNI 2.0,

ASSOCIAZIONE COMITATO ARTICOLO 26, ASSOCIAZIONE NON SI TOCCA LA FAMIGLIA, ASSOCIAZIONE PROVITA ONLUS, GIURISTI PER LA VITA, LA CROCE QUOTIDIANO

 

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UNIONI CIVILI/MANIF POUR TOUS: DA SCALFAROTTO GOFFO TENTATIVO RICATTATORIO. RISPETTI IL CONFRONTO POLITICO

Sondaggio IPR giugno 2015. Italiani contrari al contenuto del ddl Cirinnà (mantenimento, reversibilità e adozioni).

Sondaggio IPR giugno 2015. Italiani contrari al contenuto del ddl Cirinnà (mantenimento, reversibilità e adozioni).

 “Lo ‘sciopero del cappuccino’ di Scalfarotto è un goffo tentativo ricattatorio dentro un dibattito che inParlamento e nel Paese sta maturando in serietà e consapevolezza, anche grazie alle questioni poste al Family Day del 20 giugno a Roma. L’ideologico ddl Cirinnà sulle unioni civili non trova pieno consenso dentro il Pd ancor prima che nell’opinione pubblica. Se si volesse davvero garantire il diritto di chiunque di convivere in pace e libertà, senza rottamare il matrimonio incentivando l’utero in affitto come fa il ddl Cirinnà, la polemica sui diritti civili in Italia sarebbe chiusa da un pezzo”. Lo afferma Filippo Savarese, portavoce dell’associazione pro-family La Manif Pour Tous Italia, circa la decisione del sottosegretario Pd Ivan Scalfarotto di iniziare lo sciopero della fame contro il dilungarsi del confronto parlamentare sulle unioni civili.

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SONDAGGI CONFERMANO: ITALIANI CONTRARI AL DDL CIRINNA’

Ieri il quotidiano napoletano “Il Mattino” ha dedicato un interessante reportage (basato sui sondaggi di IPR Marketing) sull’opinione degli italiani sul matrimonio gay e sulle unioni civili, che ci racconta ancora una volta una situazione molto differente da quella che viene spacciata da e sui media. La maggioranza degli italiani dimostra di avere le idee chiare su questioni così cruciali per gli assetti della società, e dunque del bene comune. Ragioniamo sui punti più interessanti:

11667903_10207241025167852_1513802702_nPrimo: gli italiani sono nettamente contrari al matrimonio gay, cioè all’abolizione del requisito della diversità sessuale nel matrimonio (solo 38% i favorevoli, diminuiti negli ultimi anni). E’ ben salda la consapevolezza che la diversità sessuale è la ragion d’essere di quest’istituto antropologico, laico e giuridico, fondato sulla potenziale capacità procreativa della madre e del padre e non solo sul sentimento affettivo, che ovviamente nella storia personale della coppia è fondamentale (ma non rileva ai fini dell’interesse pubblico, come invece importa – e molto – la nascita di figli);

Secondo: Gli italiani sono favorevoli al riconoscimento di diritti della persona legati alla sua convivenza con altri. Il 74% lo sono rispetto a coppie eterosessuali, il 46% rispetto a coppie omosessuali.

11650728_10207241025127851_1248867457_nTerzo: quanto ai diritti dei componenti un’unione tra persone dello stesso sesso, gli italiani sono largamente favorevoli alla possibilità di assistenza sanitaria del partner durante le vicende cliniche (possibilità per altro già attuale). Una stretta maggioranza è a favore del riconoscimento automatico del convivente come erede pro-quota insieme agli altri familiari. Gli italiani sono invece decisamente contrari (32%) sia alla pensione di reversibilità che al mantenimento economico in caso di interruzione della convivenza – due elementi caratterizzanti della disciplina matrimoniale, dunque del tutto coerente con il giudizio contrario al matrimonio gay (a riprova che non si tratta di una questione formale di “etichette” ma di sostanza giuridica ed economica). L’85% degli italiani crede che i bambini che hanno perso una mamma e un papà meritino una mamma e un papà, e non i surrogati “genitore 1 e 2” confezionati dall’ideologia Gender.

Che cosa deriva da questi tre punti? Un giudizio molto semplice, per chi è in grado di intendere: gli italiani sono del tutto contrari al ddl Cirinnà sulle unioni civili attualmente in discussione in Commissione Giustizia al Senato.

11656181_10207241025087850_1785627946_oQuesto disegno di legge (ddl) infatti, oltre che essere destinato solo a coppie omosessuali (e già i favorevoli scendono sotto il 50%) prevede pensione di reversibilità, mantenimento in caso di separazione e adozione (“interna“, cioè solo se il bambino adottato da uno dei due partners è già figlio dell’altro: in pratica si tratta del riconoscimento legale dell’utero in affitto e dell’eterologa per coppie lesbiche, dal momento che se si trattasse del figlio di una precedente relazione eterosessuale quel bambino non avrebbe bisogno di essere adottato, perché avrebbe già sia una mamma che un papà). Il ddl Cirinnà è una fotocopia sbiadita del matrimonio, che per espressa confessione dei suoi sostenitori non si chiama proprio matrimonio per non urtare la suscettibilità degli italiani. Tanto – è il ragionamento – ci penseranno i Tribunali a fare il passo che manca per la totale equiparazione. Anche questo sondaggio dimostra, a chi crede il contrario, che gli italiani non si lasciano affatto ingannare. Lo stesso autore dell’inchiesta per “Il Mattino”, infatti, arriva a queste conclusioni (vedi immagine a fianco).

Insomma, gli italiani sono contrari all’estensione sostanziale della disciplina matrimoniale a coppie dello stesso sesso, e non ne fanno una mera questione di “nomi” o “etichette”. Sì ai diritti, no all’ideologia e no al ddl Cirinnà.

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GENDER A SCUOLA: NELLA RIFORMA IL TRUCCO C’E’ MA NON SI VEDE

L’on.Lupi   in una lettera che invia al direttore del il Sussidiario.net sostiene di non trovare il Gender nel comma 16 della riforma scolastica. Assieme a lui tanti altri.  Filippo Savarese, portavoce della Manif Pour Tous Italia, risponde: evidentemente non ci siamo ben spiegati noi!

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Gentile direttore,

ho letto con interesse il contributo di Maurizio Lupi sulla polemica sorta intorno alla fiducia votata dal Nuovo Centrodestra al Governo sulla riforma della scuola, che al comma 16 dispone la presenza nei Piani dell’Offerta Formativa scolastica, in chiave antidiscriminatoria, di programmi di sensibilizzazione su questioni cosiddette “di genere”.

Confesso che sono rimasto piuttosto interdetto dal tenore del chiarimento. Mi spiego. Importanti esponenti del Ncd, dal coordinatore nazionale allo stesso On. Lupi, sabato 20 giugno si presentavano spontaneamente in piazza San Giovanni esprimendo la loro personale adesione alle istanze lì manifestate (espellere l’ideologia Gender dalle scuole). Il segretario Alfano provvedeva intanto ad assicurare la rappresentanza politica di quelle stesse istanze in Parlamento. Com’è noto, seguiva il tentativo disperato del Ncd di emendare in extremis il suddetto comma 16, ricevendo però un impedimento procedurale da parte del Presidente Grasso. L’Ncd (escluso il sen. Giovanardi) votava allora la fiducia al Governo sull’assicurazione verbale da parte del Ministro Giannini di un futuro potenziamento delle procedure di consenso informato della famiglia per attività extracurricolari su temi… del genere.

Questa vicenda, ed è il motivo della polemica, ha suscitato un diffuso scontento nei partecipanti alla manifestazione del 20 giugno. L’immagine di un partito che si era presentato in massima rappresentanza in piazza e che poi votava la fiducia su una legge contestata da quella stessa piazza ha, mediaticamente, sortito i suoi effetti inevitabilmente negativi. Stante il segnale di ben maggiore e più clamorosa contrarietà che credo sarebbe dovuto giungere dai dirigenti del Ncd sul diniego procedurale del Presidente Grasso (chi può credere che la volontà del Governo, cioè di Renzi, non avrebbe potuto portare Grasso a più miti consigli?), stante ciò, mi sento personalmente persuaso unicamente dalle ragioni addotte sul “caso” da Eugenia Roccella, e cioè dal fatto che se il Governo fosse ipoteticamente andato in crisi sul comma 16, noi oggi ci troveremmo davanti allo scenario di una nuova maggioranza rifondata sui voti di ex Forza Italia ed ex 5 Stelle; una piattaforma tendenzialmente laicista che avrebbe compromesso in modo letale le speranza di incidere sul corso del ddl Cirinnà sui matrimoni gay (detti “unioni civili”). Sarebbe andata proprio così? Non lo so, ma lo scenario è talmente inquietante da far impallidire al solo rischio.

manif 20062015A parte queste considerazioni di natura strategica, però, non posso credere che l’On. Lupi si trovi ora ad accusare la piazza di allucinazione collettiva, affermando che nel comma 16 non si trova traccia di alcun pericolo ideologico per l’istruzione dei nostri figli, fratelli, nipoti, come le associazioni e gli organizzatori del 20 giugno stanno denunciando. Qui bisogna chiarirsi. Se è una questione di strategia per il maggior bene di beni maggiori (il matrimonio) se ne può discutere. Ma se non è una questione di strategia, se non siamo d’accordo sul merito di quanto denunciato in piazza il 20 giugno, bisogna allora prenderne atto in modo molto chiaro. Secondo Lupi, «le parole incriminate, che inducono alcuni all’accusa di cedimento sulla teoria gender, sono “prevenzione della violenza di genere”», ma, continua, «combattere le violenze di genere non vuol dire sposare la teoria del gender, per la quale l’identità di genere non è riconosciuta per un dato naturale ma scelta dal soggetto». Tutto ciò può anche essere condivisibile in linea di massima, posto che saremo comunque difficilmente in grado di far valere questa opinione come interpretazione autentica sul tenore di “violenza di genere” nei vari Consigli d’Istituto che discuteranno il contenuto dei POF.

Al di là di questo, il problema che mi sembra grave, e che evidentemente è dovuto ad una nostra colpa comunicativa, è che non è affatto nell’espressione citata da Lupi il buco nero nel patto educativo tra scuola e famiglia che abbiamo denunciato dopo il voto in Senato come Manif Pour Tous Italia. Non è l’espressione “prevenzione alla violenza di genere” il problema del testo. Come l’Onorevole sa bene, perché lo cita nel suo intervento, il comma 16 rimanda a sua volta all’art. 5, comma 2, del d.l. n. 93/2013 convertito dalla l. n. 119/2013. A sua volta ancora, il citato articolo 5 rimanda all’applicazione nelle scuole dei principi espressi nel “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal Dipartimento delle Pari Opportunità nel maggio scorso). Ebbene, il paragrafo 5.2 di questo Piano, nuova bussola governativa per tutto quanto entrerà di nuovo a livello nazionale nelle nostre scuole grazie alla legittimazione espressa del comma 16 della riforma sulla scuola, tanto predica: “Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.

Assai difficilmente si può sostenere che questo tipo di “approccio di genere” riguardi in realtà esclusivamente la prevenzione o il contrasto a casi di pratica discriminazione e violenza sessuale o psicologica dei ragazzi negli ambienti scolastici. È letteralmente palese che si tratta invece di un approccio filosofico e antropologico globale che deve preoccuparsi di rimodulare e anzi rimodellare completamente i termini del discorso sull’identità sessuale dell’essere umano in relazione alla sua “identità di genere”. Diciamolo cioè chiaramente: il contenuto del Piano, ripreso dal comma 16, è oltre ogni ragionevole dubbio una porta spalancata sull’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell’ideologia Gender. Su questo dobbiamo essere assolutamente d’accordo con chi si è spontaneamente offerto di rappresentare le istanze della piazza del 20 giugno: che cioè le abbia, prima che condivise, innanzitutto comprese.

Per quanto detto, il comma 16 della riforma scolastica viola la libertà educativa della famiglia. In quanto tale, non è negoziabile con le promesse del Ministro di potenziare gli strumenti del consenso informato. Non solo per questioni di sostanza, ma anche perché questo costringe ancor più le famiglie in una già estenuante posizione difensiva rispetto agli attacchi ideologici subiti nelle scuole dei loro figli. Un conto è avere in mano leggi che impediscano l’ingresso nelle scuole di queste teorie, altro conto avere in mano una modulistica con cui inseguire capillarmente su tutto il territorio nazionale queste attività per poter provare ad arginarle (spesso a costo di penose diatribe tra scuola e genitori, di cui possono far le spese i bambini). Né vale certo a mitigare il danno provocato da questa diposizione affermare che “tanto queste cose già accadono”. Proprio perché già accadono dovremmo andare tutti nella direzione di contrastarle e non di agevolarle. Ripeto però che ancor prima di contrastarle serve davvero saperle riconoscere.

Cordialmente

Filippo Savarese
portavoce de La Manif Pour Tous Italia

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COMUNICATO STAMPA – BUONA SCUOLA/MANIF POUR TOUS: CREATO BUCO NERO NEL PATTO EDUCATIVO SCUOLA-FAMIGLIA

“La presenza del comma sulla cosiddetta educazione di genere crea un buco nero nel patto tra scuola e famiglia, che spalanca la porta alle sperimentazioni educative fondate sul Gender”. Lo afferma Filippo Savarese de La Manif Pour Tous Italia circa il voto in Senato sulla riforma sulla ‘Buona Scuola’.

“La promessa del Governo di rinforzare procedure per il consenso informato dei genitori circa queste attività – continua Savarese – non appare in grado di bilanciare l’enorme danno subito dall’intero sistema scolastico, che mette ancor più le famiglie in posizione difensiva nella già difficile battaglia per il diritto di educare liberamente i propri figli”.

“Amareggia la totale indifferenza del Parlamento verso le istanze di libertà espresse in piazza da un milione di persone”, conclude Savarese in riferimento alla manifestazione delle famiglie sabato scorso a Roma contro il Gender nelle scuole.

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1.000.000: famiglie in piazza

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Sabato siamo stati testimoni della bellezza della famiglia. La piazza di sabato ha confermato che ci sono valori, che fondano la società, che vanno oltre la politica e la religione. La famiglia è un valore antropologico che fa il bene di tutti, di destra e di sinistra, cattolici, atei, omosessuali ed eterosessuali. Noi desideravamo che la piazza fosse trasversale, e così è stato! Una piazza che ha saputo auto-organizzarsi senza fili dall’alto. Una piazza che ha saputo dar voce senza violenza all’indignazione di chi vede violati i diritti della famiglia, con lo svuotamento di senso del matrimonio, il diritto dei bambini di crescere con una mamma e un papà, e la violazione della libertà educativa dei genitori nelle scuole con i corsi sull’ideologia gender!
Il popolo della famiglia c’è, e ha deciso di farsi sentire!

Dopo questo bellissimo evento desideriamo dire a tutti voi un milione di volte grazie perché ci sostenete da più di due anni: perché ci avete aperto le porte delle vostre città; perché ci avete accolto e chiamato per fare convegni; perché ci avete sostenuto con forze economiche ma non solo; perché i circoli territoriali sono cresciuti a vista d’occhio permettendo, grazie alla vostra generosità, la meraviglia di sabato.

Un milione di volte grazie a chi è corso con sacrificio a piazza San Giovanni, a chi ci ha sostenuto con forza da casa.

Un milione di volte grazie perché ci avete messo la faccia.

Un milione di volte grazie perché avete rinunciato a molto per stare tutti insieme lì.

Un milione di volte grazie, perché senza di voi, nulla sarebbe potuto accadere.

Un milione di volte grazie perché sabato è iniziato il grido festoso ma fermo: difendiamo i nostri figli!

Un milione di volte grazie soprattutto perché è solo l’inizio.

Un milione di volte grazie perché sappiamo che se in venti giorni siamo riusciti ad essere così tanti, tra due mesi, se fosse necessario saremo il doppio!

Continueremo a spenderci per poter alzare una voce festosa ma decisa: #nogender #nocirinna #difendiamoinostrifigli

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GENDER. MANIF POUR TOUS ITALIA: “A SAN GIOVANNI TUTTI UNITI PER LA FAMIGLIA E I NOSTRI FIGLI”

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La Manif Pour Tous Italia partecia con convinzione a questo grande evento popolare contro l’ideologia Gender nelle scuole e soprattutto contro il ddl Cirinnà sulle unioni civili, che svuota di senso il matrimonio e apre al mercato dei figli con utero in affitto”. E’ quanto afferma Filippo Savarese, portavoce dell’associazione pro-family che conta 60 circoli territoriali in Italia, circa la manifestazione di domani a Piazza San Giovanni alle 15:30, organizzata dal Comitato “Difendiamo i Nostri Figli”.

La Manif Pour Tous Italia ha contribuito alla nascita e all’organizzazione di questa manifestazione, di cui ha tenuto a garantire in modo speciale il profilo multiconfessionale e apartitico grazie alla presenza di rappresentanti di diversi credi religiosi e all’assenza di alcun riferimento politico.

“Tutti abbiamo figli o nipoti da tutelare e proteggere – aggiunge Savarese – quali che siano le nostre convinzioni politiche o religiose. Oggi siamo chiamati a farlo contro una ideologia che nega i fondamenti antropologici dell’umanità, cioè la naturalezza dell’essere maschi o femmine. Per questo domani in piazza saremo centinaia di migliaia, per rappresentare il buon senso comune”.

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Per la libertà di opinione.